Nel cuore della Campania, tra le strade lastricate, le case affrescate e i mercati vivaci della città romana di Pompei, il gioco non era un semplice passatempo: era parte integrante della vita quotidiana. Non solo svago, ma anche fulcro di socialità, apprendimento e — per molti adulti — passione e rischio.
I più piccoli a Pompei si divertivano con ciò che la quotidianità offriva: noci usate come biglie, ossicini lanciati come dadi (astràgali), bambole di terracotta o legno, carrettini di legno o piccoli animali di stoffa. Giocare aveva molte valenze: imitare il mondo degli adulti, allenarsi alla vita — ma anche semplicemente condividere una risata nei vicoli assolati.
Fonti archeologiche e studi informano che i bambini pompeiani usavano attività come il lancio delle noci (una variante del ludus castellorum), biglie di pietra o metallo, corde per saltare o cerchi da spingere col bastone.
In queste attività si delinea l’importanza del gioco come fattore di integrazione sociale e di sviluppo, non solo individuale: attraverso il gioco, i bambini sperimentavano regole, turni, competizione amichevole, confronto con coetanei — e imparavano, oltre al divertimento, il vivere in comunità.
Anche gli adulti trovavano nel gioco un’importante forma di tempo libero: nelle taverne, nelle cauponae, nelle case, si sfidavano a dadi o su tavole da gioco — simili, nella loro concezione, al moderno backgammon. In molte case pompeiane e in varie parti della città sono ancora visibili, incisi sui gradini o sui marciapiedi, i tracciati dei giochi da tavola come il Ludus duodecim scriptorum o il Ludus latrunculorum: indice di come il gioco fosse parte integrante del tessuto urbano, non relegato solo agli interni.

Gli archeologi segnalano che tavoli di gioco incisi in pietra o marmo, gettoni in vetro e dadi in osso testimoniano la diffusione di queste pratiche ludiche.
Il gioco adulto implicava dunque non solo divertimento, ma anche competizione, fortuna, ingegno — a volte perfino azzardo. Alcune iscrizioni ritrovate ammonivano i giocatori troppo temerari oppure beffavano chi aveva perso tutto: segno che l’azzardo, pur regolamentato socialmente, era presente
Nel contesto pompeiano, il gioco fungeva da ponte generazionale e sociale: i bambini e gli adulti, pur con modalità diverse, condividevano lo spazio ludico della città. I vicoli, i marciapiedi, i cortili delle domus divenivano palcoscenici di giochi e interazioni.
Il gioco, dunque, era anche identità, appartenenza e comunità: era modo di sentirsi vivi, di condividere, di imparare e di riconoscersi parte di una città che respirava vita, relazioni e momenti comuni.
Le tracce materiali — noci, ossicini, tavole incise, bambole — ci parlano oggi di quel mondo dove il tempo libero aveva un significato più ampio della semplice evasione, dove educazione, divertimento e socialità si incontravano.
Tra i colori delle domus, il sole che batteva sui lastricati e il brusio della vita urbana, a Pompei il gioco non era certo marginale: era parte integrante del quotidiano. Dagli ossicini dei bambini alle tavole incise sui gradini frequentati dagli adulti, tutto mostrava che anche in una città che oggi ci appare silente, un tempo si respirava leggerezza, competizione, apprendimento e memoria.
E forse, ancora oggi, tra quelle pietre antiche, si possono immaginare le risate dei bambini pompeiani e il tintinnio dei dadi sul tavolo scolpito nella pietra.
Foto e spunti rilevati dalla pagina della Militum Schola – dove la storia si fa esperienza, tra gioco, cultura e memoria.